Data la quantità illimitata di contenuti gratuiti online, non è una sorpresa che i media tradizionali si trovino in difficoltà. Negli ultimi anni i mezzi di comunicazione più importanti hanno cercato di digitalizzarsi, provando a far pagare i lettori per i loro contenuti online. Secondo una ricerca condotta da Media Insight Project e ripresa da NiemanLab, solo l’11% della popolazione in Italia ha deciso di spendere soldi per magazine e quotidiani online. La riduzione di entrate e un diverso tipo di audience del settore hanno fatto sì che il potere della copertura mediatica dei mezzi di comunicazione tradizionali si limitasse in modo notevole. Basti pensare che in soli dieci anni, dal 2001 al 2011, i quotidiani, nel nostro Paese abbiano perso circa due milioni di copie vendute, ossia circa il 40%.
Un fattore che ha sicuramente inciso sulla crisi dei media “mainstream” è l’avvento degli smartphone. Al giorno d’oggi, chiunque con un semplice telefonino può diventare giornalista, riportando eventi più velocemente più accuratamente di un reporter professionista.
Tuttavia, benché sia impossibile non riconoscere la grave crisi economica che i media tradizionali stanno affrontando, questi ultimi sono ancora importanti ed è davvero improbabile che assisteremo a una loro estinzione. Stampa, tv e radio offrono un’informazione credibile e professionale al contrario dei new media, il cui problema è essenzialmente la mancanza di credibilità. Per esempio, durante l’attentato alla maratona di Boston, i giornalisti “partecipativi” hanno riportato l’evento su Reddit, sostenendo di aver identificato il terrorista: lo studente della Brown University Sunil Tripathi. La famiglia del ragazzo ha visto arrivare decine e decine di giornalisti. Un paio di ore dopo, quando i veri terroristi, i fratelli Tsarnaev, sono stati catturati, la vera natura dei social network si è stata rivelata.
In secondo luogo, anche se Internet è spesso idealizzato come “la voce del pubblico” e come “piattaforma democratica”, questo non è il caso dei social media. Questi ultimi sono fondamentalmente “business” con lo scopo di vendere dati e pubblicità. Il loro obiettivo è convincerci a passare più tempo possibile sulle loro piattaforme, in modo da raccogliere le informazioni necessarie da girare agli inserzionisti. Questo fa sì che i contenuti visualizzati sulla homepage siano personalizzati attraverso un processo di “tailoring”. Tutto questo va ovviamente contro i principi di democrazia e libertà di informazione, in quanto non siamo liberi di scegliere le informazioni a cui veniamo esposti.
Un esempio di questo tipo di abuso di potere può essere trovato nella censura di Facebook della foto della bimba vietnamita bruciata dal napalm. Essendo il simbolo della guerra in Vietnam e per cui un momento storico di particolare importanza, Facebook è stato accusato di abuso di potere e censura. Dopo giorni di critiche sui social network, Facebook ha deciso di riammettere la foto della bambina vietnamita. Questo fatto è rilevante in quanto Facebook non è una compagnia mediatica ma tecnologica ed il colosso di Mark Zuckerberg avrebbe dovuto saper distinguere tra pedopornografia ed una famosa foto di guerra. Il potente messaggio che l’immagine trasmette è stato quindi soppresso, seppur per pochi giorni, limitando la nostra libertà di informazione.
Infine, quando esaminiamo i dati a proposito dei trend nella consumazione dei media, è chiaro che sebbene le persone trascorrano molto tempo sui social media, quando si tratta di cercare informazioni affidabili, Facebook e Twitter sono semplicemente delle porte di ingresso per il Corriere Della Sera, Repubblica, Post Internazionale ect. Stampa, radio e televisione sono ancora visti come fonti di contenuti autorevoli e stimati, mentre i social media agiscono da aggregatori – una serie di opinioni ed impressioni piuttosto che una collezione di fatti affidabili. I media di vecchia generazione e i nuovi sono quindi complementari e non alternativi l’uno all’altro. I primi comunicano alle persone in modo diretto e involontario mentre i secondi creano il confronto e generano interattività.