La sostenibilità ambientale non è più una scelta, ma un dovere.
Non solo per etica, ma anche per business. Come analizzato dal Sole24ore in diversi articoli, l’azienda di domani sarà sostenibile o non avrà modo di esistere. Gli indicatori ESG (Enviromental Social and Governance criteria), frutto ormai di ampio dibattito internazionale, sono diventati parametri di giudizio dei Ceo anche per riviste come Harward Business Review.
Questo imperativo è emerso anche nel workshop “The dreamers” organizzato da Amica che ha dato voce ad alcune delle principali realtà del fashion system impegnate sul fronte della sostenibilità. Un parterre di grandi nomi ha discusso le minacce, ma anche le opportunità della sostenibilità, prima fra tutte la tendenza delle nuove generazioni ad essere consumatori maggiormente consapevoli, tanto da orientare il mercato.
L’Italia e le grandi catene internazionali
Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana ha aperto il workshop portando dati importanti: chi acquista moda crede che il Brand possa contribuire al cambiamento (54% degli intervistati contro il 17% che crede che lo possa fare il governo) e il 24% dei prodotti in department store vengono acquistati perché considerati sostenibili, una cifra che arriverà al 50% entro il 2025.
È fondamentale per le aziende parlare di sostenibilità e impegnarsi in tal senso in maniera reale, trasparente, tracciabile. Il consumatore diventerà, infatti, sempre più consapevole e capace a distinguere le attività di greenwashing dai reali sforzi. Il percorso, soprattutto nella moda, però, è ancora in salita perché non è ancora chiaro l’impatto dei marchi usa e getta. Proprio per sensibilizzare in questo senso, ai Green Carpet è stato premiato il marchio di moda Valentino: le creazioni degli anni ’60, infatti, sono state passate di madre in figlia, pressoché intatte grazie al valore di marca e all’alta qualità delle materie prime.
L’intervento di Capasa si è concluso con un augurio: che entro il 2025 sia disponibile la tecnologia per tracciare il processo di produzione del singolo capo, la carbon footprint e la sua sostenibilità sociale, altro argomento di grande interesse che ha successivamente approfondito Pascal Brune, H&M sustainability manager. Nel suo intervento, Brune ha indicato come maggiori successi di H&M il raggiungimento nel 2020 dell’utilizzo per la produzione esclusivamente di tessuti da fonte sostenibile o recuperati, l’omologazione delle emissioni negli stabilimenti di tutto il mondo ma, soprattutto, il miglioramento delle condizioni di lavoro e delle misure di sicurezza per i lavoratori a tutti i livelli.
Grande focus anche sulla volontà di stabilire una catena del valore dal design fino alla fine del prodotto e sulla ricerca. Fra i principali impegni della catena:
- Design > come renderlo più durevole e riciclabile
- Scelta materiali > focus su sostenibili, organici, riciclati e facili da riciclare
- Processi > valutare nuove tecnologie
- Business > provare o ampliare nuove forme come il rental (oggi già attivo in Svezia nella linea couture) e le riparazioni (già attive in 7 paesi)
Il ruolo del consumatore
Fabio Colacchio di Bain&Company ha ripreso il focus sul target analizzando il consumatore di domani partendo dall’assunto che, nel 2025, il 130% dei consumatori odierni saranno millennials e Z generation. Questi ultimi, soprattutto, si distingueranno nettamente dalle generazioni precedenti sia per abitudini di acquisto che per approccio valoriale. Si assisterà alla riscoperta del punto vendita fisico che verrà reinterpretato secondo il target specifico e ad un paradigma post-aspirazionale: il prodotto lusso ha valore per qualità, ma non basta. Servono temi valoriali. I brand devono avere un punto di vista politico, devono agire apertamente ed esporsi. Così riescono ad avere anche un maggiore impatto. Già oggi emerge come, in questa fascia, i post che rappresentano valore, abbiano un engagement più alto dei 10-40%
Stilisti e case di alta moda italiani
Molto interessanti i punti di vista di stilisti e case di alta moda, rappresentati rispettivamente da Tiziano Guardini, stilista “green”, Carlo Zanuso di Pomandère, Angela Missoni e Margherita Maccapani Missoni.
In questo contesto emergono l’attaccamento alle radici, al territorio e nuovi orizzonti, nello studio di nuovi materiali naturali, ecosostenibili o cruelty free, e nella riscoperta di realtà artigianali o di patrimoni di stoffe già presenti che vengono reinventate e reinterpretate in logica di edizione limitata.
Associazioni e Progetti
Molto forti ed emozionali anche gli interventi di Federico Moro per la Robert F. Kennedy Human Rights che ha portato testimonianza degli sforzi della fondazione in tema di diritti umani, ambientali e dei lavoratori evidenziando come RFK avesse già teorizzato nel ‘78 che Il PIL dovesse misurare oltre a indicatori economici anche l’inquinamento, la deforestazione e i comportamenti dei consumatori, di Federico Garcea, Fondatore e CEO di Treedom e di Sabina Airoldi, la “signora delle balene”.
Federico ha spiegato il progetto Treedom sia nella valenza di sostenibilità ambientale che sociale e anticipato il festeggiamento per il primo milione di alberi piantati, Sabina ha portato la sua testimonianza di anni di collaborazione con l’Istituto Tethys sul valore del Mediterraneo e dei mari in generale nell’equilibrio climatico. Ha evidenziato come, oltre a parlare di alberi sia necessario parlare di mare, visto che dal Fitoplancton arriva il 52% dell’ossigeno prodotto ogni giorno e di come proteggere balene e capodogli, che sono specie ombrello, significhi preservare tutte le specie marine.
Dreamers or makers?
Non sognatori, quindi, come suggeriva il titolo dell’incontro, ma persone e aziende seriamente impegnate nella sostenibilità e nella protezione dell’ambiente. Per ideologia e per business. A mente fredda, possiamo dire che l’impegno ambientale sia il must di stagione: salvaguardare il pianeta significa rispettare le generazioni future consegnando loro un ecosistema sano ma anche venire incontro ai loro valori, proteggendo il business. Sostenibile vende di più e vende meglio. E cosa dire sulla riduzione degli sprechi o sul maggiore appeal nei confronti dei potenziali investitori? Insomma, se l’azienda può essere chiamata ad un investimento iniziale per adeguare i propri processi in ottica green, il ritorno è garantito in termini di immagine ed economici come evidenziato nell’articolo della Stampa.
Per spostare il punto di vista, da un’indagine realizzata da LinkedIn e pubblicata dalla CNBC, risulta che l’86% dei millennial prenderebbe in considerazione una riduzione del proprio stipendio pur di lavorare per un’azienda in cui missione e valori – dal rispetto per l’ambientale all’integrazione sociale – si allineano con i propri.
Verso un futuro green, quindi, al grido di: “il business ci salverà”.